Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

101 DOCUMENTO SIPREC 2022 stione ottimale dell’eccedenza ponderale in modo da poter impostare una comunicazione medicopaziente efficace e coinvolgente. A tale riguardo non appare inutile sottolineare come un crescente numero di operatori sanitari presenti i medesimi fattori di rischio e/o le medesime patologie croniche che dovrebbero trattare, derivando da ciò una modesta efficacia delle diverse strategie terapeutiche di volta in volta proposte. Si stima che circa un terzo dei medici riferisca difficoltà nel proporre adeguati stili di vita ai propri pazienti a causa della bassa autostima determinata dalla consapevolezza dell’incongruenza tra il proprio modo di agire e ciò che consigliano [30]. Le evidenze della letteratura scientifica dimostrano come solo il medico normopeso tenda a consigliare strategie terapeutiche al paziente obeso [31,32]. Peraltro, i pazienti tendono ad implementare meglio i consigli provenienti da medici e operatori sanitari non in sovrappeso [33]. L’obbiettivo della comunicazione è quella di educare il paziente per implementare le sue conoscenze sull’obesità e permettergli di cogliere anche gli aspetti psicologici ad essa correlati al fine di ottenere una migliore gestione di questa problematica clinica. L’educazione terapeutica, quindi, costituisce un momento indispensabile nella gestione del paziente cronico perché accanto al ruolo di informazione sulla gestione pratica della patologia, si propone anche di migliorare la qualità di vita del paziente [27]. Proprio in ragione della sua rilevanza strategica l’educazione non può e non deve limitarsi a slogan generici del tipo “mangia di meno e fai più attività fisica” [6]. Indiscutibilmente, un’alimentazione inadeguata dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo e alti livelli di sedentarietà rappresentano i principali determinanti dell’eccedenza ponderale. Tuttavia, non tenere conto della già citata natura multifattoriale dell’obesità può indurre ad una troppo semplicistica interpretazione di questa patologia come prevalente, se non esclusiva, responsabilità/colpa dell’individuo per sua pigrizia o scarsa forza di volontà [6]. Purtroppo, questo tipo di approccio comunicativo è tanto diffuso quanto difficilmente modificabile nella società occidentale. La comunicazione mediatica, peraltro, contribuisce non poco a radicare l’assioma che l’obesità sia soprattutto una colpa dell’individuo. La persona obesa, infatti, viene spesso raffigurata attraverso immagini e atteggiamenti stereotipati, ad esempio mentre mangia grandi quantità di cibo spazzatura davanti alla tv o seduta in poltrone troppo strette per le sue misure, in genere poco curata nell’abbigliamento se non francamente sciatta e trasandata [6,34]. Peraltro, la comunicazione mediatica spesso tende ad enfatizzare l’idea che il peso sia facilmente modificabile e che il successo nella perdita di peso sia semplicemente una questione di sforzo e volontà personale. Non stupisce, allora, che anche nella vita reale le persone con obesità possano essere considerate pigre, sciatte, poco motivate e meno competenti sul lavoro, meno aderenti ai programmi terapeutici, meno coscienziose e meno estroverse rispetto alle persone normopeso [35]. La comunicazione medico-paziente deve necessariamente condurre al coinvolgimento convinto del paziente nel progetto gestionale della sua condizione clinica al fine di migliorare l’aderenza a diversi schemi terapeutici di volta in volta proposti dal medico facendo leva sugli stimoli motivazionali che rappresentano i pilastri su cui poggia il successo terapeutico [36]. Motivare il paziente vuole dire spingerlo in una direzione verso cui egli deve essere necessariamente orientato ad andare, accompagnando il paziente verso l’obbiettivo e non trasportandolo passivamente verso la meta. Il paziente deve essere necessariamente consapevole del suo problema e determinato nel cercare di trovare una soluzione adeguata e deve intraprendere in modo convinto il percorso di cambiamento (ben consapevole che tale percorso potrà essere costellato di batture d’arresto e di passi indietro) per giungere al consolidamento dei risultati raggiunti cercando in ogni modo di evitare ricadute, sempre dietro l’angolo [37]. La motivazione al cambiamento deve essere, quindi, già presente nel paziente, magare anche solo in embrione, quale substrato del percorso terapeutico. Il medico ha il compito di implementare questa motivazione e di indirizzarla verso il pro-

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