Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

12 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA Anche nel nostro Paese i dati non sono affatto confortanti. Dai risultati dell’Indagine Multiscopo dell’Istat “Aspetti della vita quotidiana” emerge che nel 2015 in Italia più di un terzo della popolazione adulta (35,3%) era in sovrappeso, mentre una persona su dieci era obesa (9,8%) e complessivamente il 45% dei soggetti di età ≥18 anni era in eccesso ponderale [5]. Le regioni meridionali presentavano una prevalenza superiore di adulti obesi (Molise 14%, Abruzzo 13% e Puglia 12%) e in sovrappeso (Basilicata 40%, Campania 39% e Sicilia 38%) rispetto a quelle settentrionali (obesi 9% in Lombardia e 8% nella Provincia Autonoma di Bolzano, in sovrappeso 30% in Valle d’Aosta e 27% nella Provincia Autonoma di Trento) [5]. La percentuale di popolazione in eccesso ponderale era maggiore nelle fasce di età più avanzata, passando dal 14% nei soggetti tra i 18 e i 24 anni al 46% tra i 65 e i 74 anni; analogamente la percentuale di soggetti obesi aumentava dal 2% al 15% per le stesse fasce di età [5]. Diversi studi hanno dimostrato una correlazione fra obesità ed eventi cardiovascolari maggiori, tra cui infarto miocardico, scompenso cardiaco e morte cardiaca improvvisa. Nei pazienti obesi vi è infatti una maggiore incidenza dei principali fattori di rischio cardiovascolare, tra i quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemia e sindrome dell’apnee ostruttive del sonno [6-9]. Inoltre, l’obesità è spesso associata ad uno stile di vita non corretto caratterizzato da fumo, abuso di alcol e consumo di “junk food”. Ogni 2 anni vissuti in una condizione di obesità il rischio di mortalità per cause cardiovascolari aumenta del 7%. Anche i dati dello studio Framingham hanno confermato che il rischio di mortalità aumenta in maniera proporzionale al numero di anni trascorsi in una condizione di obesità, indipendentemente dai valori di BMI e da altri fattori di rischio. Una maggiore durata dell’obesità è stata inoltre associata ad una più estesa quota di calcificazioni coronariche e ad una più rapida progressione della malattia aterosclerotica, indipendentemente dalla quota e dalla distribuzione dell’adipe [6]. Nei pazienti obesi lo sviluppo di aterosclerosi inizia diversi anni prima rispetto ai soggetti normopeso. Un aumento del peso corporeo di 10 Kg è associato ad un rischio superiore del 12% di malattia coronarica e ad un aumento di circa 3 mmHg dei valori di pressione arteriosa. Ad ogni aumento del BMI di 1 Kg/m2 corrisponde una crescita del rischio di ictus ischemico del 4% e del 6% di rischio emorragico [7]. Inoltre i soggetti obesi hanno un rischio del 50% superiore rispetto agli individui normopeso di sviluppare fibrillazione atriale [8]. Sulla base dei dati del Framingham Heart Study ad un aumento del BMI di 1 Kg/m2 il rischio di scompenso cardiaco aumenta del 5% negli uomini e del 7% nelle donne. Nei soggetti obesi lo scompenso cardiaco si sviluppa 10 anni prima rispetto a coloro che hanno un BMI nei limiti. Dopo 20 anni di obesità il rischio di scompenso cardiaco aumenta del 70% e dopo 30 anni del 90%. Diversi studi hanno mostrato che tra i pazienti affetti da scompenso cardiaco il 32-49% è obeso e il 31-40% in sovrappeso e che più del 10% dei casi di insufficienza cardiaca è attribuibile direttamente all’obesità [6]. Dai dati del Framingham Heart Study è emerso anche come l’incidenza di morte cardiaca improvvisa sia 40 volte superiore nei soggetti obesi come conseguenza di un’aumentata irritabilità elettrica, di un alterato equilibrio simpato-vagale e di più frequenti e complesse aritmie ventricolari, anche in assenza di un quadro di scompenso cardiaco conclamato [6]. Sulla base di queste evidenze, l’American Heart Association (AHA) ha ufficialmente classificato l’obesità come un fattore di rischio cardiovascolare modificabile con un ruolo indipendente dagli altri fattori di rischio più noti quali ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e diabete [9]. Bisogna

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