Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

13 DOCUMENTO SIPREC 2022 inoltre sottolineare come l’obesità sia associata di per sé ad un’aumentata prevalenza e ad un peggior controllo degli altri fattori di rischio cardiovascolare. L’aumento dei BMI e del grasso viscerale è correlato infatti ad un’espansione del volume ematico circolante dovuta ad una ritenzione di sodio e acqua, ad un’iperattivazione simpatica e ad un aumento delle resistenze vascolari. Le conseguenze dell’espansione del tessuto adiposo includono inoltre la disregolazione della secrezione di adipochine, l’alterazione della funzione mitocondriale e del metabolismo lipidico e glucidico, insulino-resistenza, disfunzione endoteliale e uno stato infiammatorio e protrombotico [6-8]. Diversi studi e metanalisi hanno inoltre mostrato un’associazione con un aumento dello spessore medio-intimale e con la presenza di calcificazioni coronariche. Questi meccanismi fisiopatologici contribuiscono allo sviluppo di rimodellamento atriale e ventricolare, di disfunzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro, ad un aumento delle pressioni di riempimento atriale e ventricolare e delle pressioni polmonari. Lo spettro delle alterazioni cardiache funzionali e strutturali correlate all’obesità spazia pertanto dalla presenza di danno d’organo subclinico allo scompenso clinico sintomatico [6-8]. Diversi studi hanno mostrato come oltre alla valutazione del BMI altri indici antropometrici della distribuzione del tessuto adiposo siano in grado di predire in maniera più adeguata il rischio cardiovascolare dei soggetti obesi, tra cui la circonferenza addominale, il rapporto vita-fianchi e la valutazione del grasso viscerale con tomografia computerizzata e risonanza magnetica. E’ stato infatti suggerito che la distribuzione e l’integrità del tessuto adiposo svolgano un ruolo più importante per la determinazione del rischio cardiometabolico rispetto al quantitativo totale. In quest’ambito, la valutazione della circonferenza addominale si è dimostrata essere un indicatore più preciso di obesità addominale e correla maggiormente con i valori di BMI rispetto al rapporto vita/fianchi [6-8]. In uno studio condotto su 360.000 soggetti in 9 Paesi Europei ha mostrato che sia l’obesità generale che quella centrale aumentano il rischio di morte e supportano l’importanza di valutare la circonferenza addominale e del rapporto vita/fianchi [10]. Nei pazienti obesi con anamnesi positiva per precedenti eventi cardiovascolari la strategia più efficace per far regredire i fattori di rischio associati si è dimostrato il calo ponderale con modifiche del regime dietetico e programmi di esercizio fisico. Una perdita di peso del 5-10% associata a programmi di riabilitazione è in grado di ridurre i livelli plasmatici di colesterolo, glucosio e markers infiammatori. Inoltre un calo ponderale di 8 Kg circa è in grado di ridurre gli spessori del ventricolo sinistro in pazienti lievemente obesi con ipertensione, con risultati più significativi rispetto alla terapia antipertensiva [7]. Alcuni studi hanno individuato un fenotipo di pazienti obesi definiti come “metabolicamente sani”, ovvero con elevata sensibilità all’insulina, bassi livelli di citochine infiammatorie e un normale assetto lipidico, caratterizzati da un minor rischio di eventi cardiovascolari e mortalità indipendentemente dai valori di BMI. La prevalenza di questo particolare fenotipo è di circa il 10-30% in Europa, con una percentuale più elevata tra le donne giovani. Tuttavia, seppur descritta come una condizione benigna, i soggetti che ne sono affetti presentano comunque un rischio aumentato di eventi cardiovascolari, di insufficienza renale cronica ed epatopatia rispetto agli individui normopeso, soprattutto se perpretrata per lunghi periodi [8]. Sulla base di queste evidenze, appare chiaro come un enorme sforzo debba essere compiuto per bloccare la crescita esponenziale dell’obesità in tutto il mondo sia a livello individuale che con programmi di popolazione su grande scala. L’obesità rimane infatti una condizione clinica che aumenta il profilo di rischio cardiovascolare modificabile e che può essere controllato con modifiche dello stile di vita associato a strategie farmacologiche in maniera significativamente efficace.

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