Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

26 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA molte delle quali possono confluire nella condizione nota come sindrome metabolica. La sindrome metabolica viene comunemente definita dalla presenza di almeno tre delle seguenti alterazioni: obesità addominale, aumento della trigliceridemia, riduzione della colesterolemia HDL, aumento della glicemia a digiuno, aumento della pressione arteriosa sistemica. Negli anni si sono susseguite diverse modalità classificative della sindrome metabolica. Tra queste, l’International Diabetes Federation (IDF) ha pubblicato nel 2005 i criteri diagnostici di sindrome metabolica [10], elencati in Tabella 1. Tabella 1. Criteri IDF per la diagnosi di sindrome metabolica nella popolazione europea. Sebbene questi criteri riflettano in linea di massima quelli generali delle altre definizioni (e.g., WHO, EGIR, NCEP-ATP III, AHA), nella definizione IDF l’aumento della circonferenza addominale, non necessariamente associata ad uno stato di obesità propriamente definito da un incremento del BMI oltre 30 kg/m2, è considerata criterio imprescindibile per potere formulare la diagnosi di sindrome metabolica. Il requisito relativo all’aumento della circonferenza addominale, soddisfatto da limiti specifici per le diverse etnie (Europa: circonferenza vita ≥94 cm nell’uomo o ≥80 cm nella donna), unitamente alla presenza di almeno altre due alterazioni (i.e., glicemia ≥100 mg/dL, trigliceridemia ≥150 mg/dL, colesterolemia HDL <40 mg/dL nell’uomo e <50 mg/dL nella donna, pressione arteriosa >130/85 mmHg) permette di formulare la diagnosi di sindrome metabolica [10]. È bene sottolineare che le diverse classificazioni proposte non sono esaustive rispetto alla complessità di anomalie che è comune riscontrare nel paziente obeso e che possono includere anche infiammazione, anomalie coagulative, NAFLD, iperuricemia, ipernefemia, alterazioni del profilo adipocitochinico e molte altre ancora. È altresì opportuno ribadire che ognuna delle alterazioni riportate può ricondursi alla presenza di uno stato di insulino-resistenza. Il corteo di alterazioni che caratterizzano il paziente obeso con sindrome metabolica influenza negativamente la salute vascolare. È noto, infatti, che tutte le alterazioni incluse nella definizione di sindrome metabolica sono in grado di esercitare un’azione pro-aterosclerotica autonoma. È quindi assodato che l’obesità eserciti il suo impatto sfavorevole sulla salute arteriosa in gran parte attraverso la mediazione dei diversi fattori di rischio cardiovascolare che ad essa si accompagnano [11-13]. È pur vero, tuttavia, che l’associazione tra obesità e lesioni aterosclerotiche conclamate regge anche dopo correzione statistica per l’impatto dei principali fattori di rischio “metabolici”. In effetti, l’adiposità viscerale ed ectopica promuove l’infiammazione vascolare e sistemica, substrato etiopatogenetico del processo evolutivo aterosclerotico [11]. In aggiunta, l’infiammazione indotta dall’obesità amplifica i processi di ossidazione delle LDL [14] e quindi l’aterogenesi; ed ancora, la disfunzione endoteliale del paziente obeso, causata principalmente dalla ridotta biodisponibilità di ossido nitrico nel contesto dell’infiammazione e dello stress ossidativo [15], risulta determinante per la comparsa e la progressione della malattia aterosclerotica. D’altro canto, la resistenza tissutale periferica all’insulina del paziente obeso promuove lo sviluppo della cosiddetta dislipidemia aterogena, ovvero Obesità centrale (circonferenza vita ≥94 cm nell’uomo e ≥80 cm nella donna), in associazione ad almeno altri 2 criteri sotto-elencati Trigliceridemia ≥ 150 mg/dL, ovvero terapia specifica HDL colesterolo <40 mg/dL nell’uomo e < 50 mg/dL nella donna, ovvero terapia specifica Pressione arteriosa sistemica PAS ≥ 130 o PAD≥ 85 mmHg, ovvero terapia specifica Glicemia a digiuno ≥ 100 mg/dL, ovvero diagnosi già formulata di diabete tipo 2

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