Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

27 DOCUMENTO SIPREC 2022 la presenza di trigliceridemia elevata, basso C-HDL, aumento della concentrazione di LDL piccole e dense, redistribuzione del colesterolo nelle lipoproteine aterogene contenenti apoB o non-HDL. Queste alterazioni lipidiche, unitamente all’aumento dei livelli glicemici e di pressione arteriosa, sostenuti anch’essi dallo stato di insulino-resistenza nel paziente obeso, esaltano e cronicizzano lo stato infiammatorio sistemico, amplificando il rischio atero-trombotico [17]. Nel complesso, quindi, non meraviglia che diversi studi epidemiologici prospettici dimostrino che l’obesità, soprattutto se viscerale (i.e., espressione di localizzazione ectopica di grasso), sia associata ad un rischio elevato di malattia coronarica aterosclerotica. Una meta-analisi condotta su oltre 300.000 adulti (18.000 eventi ischemici coronarici) ha dimostrato che un BMI nell’intervallo sovrappeso-obesità era associato ad un aumentato rischio cardiovascolare [18]. Inoltre, per ciascun livello di BMI, le misure di adiposità centrale (e.g., aumento della circonferenza vita o del rapporto vita/fianchi) sono risultate associate ad un rischio maggiore di eventi e mortalità cardiovascolare, anche tra coloro che hanno un BMI normale. È stato dimostrato anche che il grado e la durata dell’obesità, misurati come esposizione cumulativa totale all’eccesso di adiposità complessiva (BMIanni) e addominale (circonferenza vita-anni), sono predittori di rischio cardiovascolare più robusti della singola misura di BMI o circonferenza vita [19]. In merito al contributo di rischio esercitato dallo stato metabolico del paziente obeso è opportuno fare delle precisazioni. I pazienti MUHO risultano a maggiore rischio di presentare malattia aterosclerotica cardiovascolare (ASCVD) rispetto a quelli MHO ed ai soggetti non obesi, a supportare l’importanza del peso prognostico sfavorevole sia dell’obesità che delle alterazioni metaboliche che la accompagnano. È anche chiaro che i pazienti MHO presentano un profilo di rischio cardiovascolare subclinico e clinico compromesso rispetto ai soggetti non obesi metabolicamente sani [20]. Ci sono risultati contrastanti sulla misura in cui l’associazione tra obesità ed ASCVD sia indipendente dai fattori di rischio metabolico cardiovascolare legati all’eccesso ponderale. La gran parte delle analisi prospettiche hanno indicato che il legame tra obesità ed ASCVD è mediato in modo rilevante e statisticamente significativo da dislipidemia, ipertensione, diabete ed altre comorbilità [21], mentre altri studi evidenziano la persistenza di un rischio prospettico residuo tra obesità e ASCVD anche dopo aver tenuto conto dei principali fattori di rischio metabolici e non metabolici [22]. Analogamente, alcuni studi hanno evidenziato che l’obesità senza sindrome metabolica non è associata ad infarto miocardico incidente (129) contrariamente a quanto rilevato in altri studi [23]. Una metaanalisi di 21 studi che ha incluso 1.8 milioni di partecipanti ha suggerito che circa metà dell’associazione tra sovrappeso/obesità ed ASCVD è spiegata dai livelli di colesterolo, pressione arteriosa e glucosio [24]. Oltre al danno macro-vascolare, l’obesità è associata turbe significative del micro-circolo, che si traducono in una rarefazione del distretto capillare e nella compromissione della funzione endoteliale. È dimostrato che la disfunzione micro-vascolare produce aumento delle resistenze vascolari periferiche e della pressione arteriosa, contribuisce alla riduzione dell’uptake insulino-mediato di glucosio, costituendo quindi una via di connessione fisiopatologica tra obesità, disturbi emodinamici e metabolici ad essa correlati. La disfunzione micro-vascolare del paziente obeso può essere il risultato di molteplici alterazioni. L’ipernefemia, condizione di frequente riscontro nel paziente obeso, promuove la formazione di ROS, altera il reclutamento capillare mediato dall’insulina e l’uptake muscolare del glucosio e promuove la disfunzione endoteliale dei vasi di resistenza [25]. Il TNF-α di derivazione adiposa è sia capace di sopprimere gli effetti emodinamici e metabolici dell’insulina attraverso l’inibizione della fosforilazione di IRS-1, che indurre disfunzione micro-vascolare indirettamente attraverso la stimolazione della lipolisi e quindi il maggiore rilascio di FFA [25]. Ancora,

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