Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

28 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA diverse adipocitochine rilasciate dalle cellule adipose sono in grado di inibire direttamente le vie di segnale che conducono alla vasodilatazione dei distretti arteriolari ed il relativo flusso capillare distale. A questi meccanismi se ne aggiungono diversi altri, tra cui quelli deleteri sulla funzione microvascolare esercitati dall’iper-attivazione nel paziente obeso del sistema renina-angiotensina [25]. È importante sottolineare che la malattia micro-vascolare coronarica spesso coesiste con la coronaropatia aterosclerotica, aggravandone gli effetti deleteri sulla perfusione miocardica e sul rischio di eventi ischemici coronarici. Inoltre, la malattia micro-vascolare è associata in modo indipendente alla presenza di alto BMI e fornisce informazioni prognostiche indipendenti sul rischio cardiovascolare dei pazienti obesi [26]. Obesità ed alterazioni metaboliche aggiuntive L’impatto che hanno varianti genetiche comuni sui livelli sierici di acido urico è modesto rispetto al 67% di effetto medio esercitato da fattori non genetici, tra cui obesità, cibi ricchi di purine o bevande ad alto contenuto di fruttosio. A tale proposito, una meta-analisi di 10 studi prospettici che ha incluso 215.739 partecipanti e 27.944 casi di gotta ha indicato che ogni incremento di 5 kg/m2 di BMI era associato a un aumento del rischio di gotta del 55% [27]. È interessante osservare una interazione genetica tra obesità ed iperuricemia/gotta. Infatti, uno studio di randomizzazione mendeliana ha mostrato che una serie di varianti geniche (i.e., regioni FTO, MC4R e TMEM18) associate ad alto BMI risultava associata a concentrazioni sieriche aumentate di urato [28]. Inoltre, varianti geniche associate ad alto BMI sono risultate associate anche a maggiore rischio di gotta [29]. In aggiunta a quanto riportato, studi recenti suggeriscono anche che alti livelli di acido urico potrebbero promuovere l’accumulo di tessuto adiposo [30]. Peraltro, ci sono evidenze, seppure non sempre concordi, secondo cui l’aumento dei livelli di acido urico sia prospetticamente correlato con un maggiore rischio di ASCVD e malattia renale cronica (CKD) [31]. La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) comprende uno spettro di malattie epatiche associate a disturbi metabolici e cardiovascolari, quali obesità, insulino-resistenza, ipertensione, dislipidemia e diabete. È spesso riconosciuta come la manifestazione epatica della sindrome metabolica e costituisce la patologia epatica più frequente al mondo. La prevalenza della NAFLD aumenta parallelamente a quella di obesità, sindrome metabolica e diabete. La frequente coesistenza di NAFLD con molteplici alterazioni metaboliche caratteristiche anche del paziente obeso ha di recente portato alla definizione del nuovo acronimo MAFLD (metabolic dysfunction-associated fatty liver disease) [32]. Nella popolazione obesa, la prevalenza della NAFLD varia dal 60 al 95%. Al contrario, la prevalenza dell’obesità tra i pazienti con NAFLD supera il 50%. La NAFLD è strettamente correlata all’insulino-resistenza del tessuto adiposo, alla sua disfunzione e, in parte, alla sua limitata capacità di espansione. È importante sottolineare che la steatosi epatica è oggi considerata un trigger determinante dell’asse fegato-cellule α-pancreatiche, dell’incremento dei livelli di glucagone e del rischio di sviluppo di diabete; è stata inoltre associata prospetticamente ad un aumentato rischio di ASCVD [33]. Seppure sia chiara l’esistenza di un nesso fisiopatologico tra obesità e disturbi del metabolismo osseo, i dati sperimentali e clinici a riguardo sono spesso contrastanti; a titolo esemplificativo, se è vero che l’obesità può accompagnarsi ad un aumentato rischio fratturativo non omogeneo per i diversi segmenti scheletrici, è anche vero che all’eccesso ponderale si associa generalmente un aumento della densità minerale ossea nonostante un più basso livello di vitamina D circolante. L’influenza dell’obesità sul metabolismo osseo è quindi complessa e chiaramente condizionata da molteplici fattori: il carico meccanico associato al peso, la qualità dell’osso, il tipo di obesità, la localizzazione anatomica dell’eccesso adiposo, il sesso, l’età, i segmenti scheletrici esaminati, il pat-

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