Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

39 DOCUMENTO SIPREC 2022 3. ASPETTI CLINICI 3.3 Obesità e malattie non metaboliche Claudio Ferri, Rita Del Pinto Università dell’Aquila - Dipartimento MeSVA Premessa L’obesità è ritenuta un motore fondamentale e deleterio nel contesto delle malattie cardiovascolari e metaboliche [1]. Malgrado questo, essa non è sempre considerata un vero e proprio elemento di rischio “cardiometabolico” e, pertanto, risulta esclusa da diversi, anche recenti, punteggi usati sia in prevenzione primaria che secondaria [2]. In aggiunta a questo, tanto un modesto eccesso di adiposità viscerale, quanto una franca obesità sono state inversamente associate alla mortalità cardiovascolare e non-cardiovascolare, generando ulteriore confusione sull’effettivo ruolo dell’obesità come elemento prognosticamente negativo [3]. A questo proposito, tuttavia, è vero che l’accumulo di grasso è risultato spesso paradossalmente protettivo, tanto nei confronti delle malattie cardiovascolari che di diverse condizioni “non cardiometaboliche”. Tale paradosso, però, è il derivato di un artificio statistico, espressione cioè di causalità inversa e, quindi, del confondimento generato da un lato dallo stato di maggiore benessere generale che può caratterizzare un paziente cronico in lieve sovrappeso rispetto a quello sottopeso, dall’altro dalla progressiva perdita di peso correlata a molte malattie, magari insorte proprio in seguito all’obesità [3]. In generale, comunque, resta l’impressione di un evidente ritardo nella comprensione del vero ruolo lesivo esercitato dall’obesità, forse favorito anche dal modesto armamentario terapeutico in epoca antecedente l’introduzione delle gliflozine [4] e degli agonisti del glucagon-like peptide-1 [5], nonché dall’uso non diffuso di fentermina-topiramato al di fuori dell’ambiente ultraspecialistico [5]. In questo stesso contesto, la “potenza offensiva” dell’obesità riguarda solo in parte il rischio “cardiometabolico” ad essa correlato, come è ben dichiarato dal nostro Ministero della Salute, sul cui sito è possibile leggere: “Obesità e sovrappeso sono condizioni associate ad elevata mortalità e rappresentano un importante fattore di rischio per le principali malattie croniche: malattie cardiovascolari (in particolare infarto e ictus), ipertensione, diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica, alcune forme di tumori (in particolare il tumore dell’endometrio, del colon retto, renale, della colecisti, della prostata e della mammella). L’obesità aumenta anche il rischio di malattie della colecisti (calcoli) e delle malattie muscolo-scheletriche (in particolare artrosi degenerativa)” [6]. L’allarme lanciato dal Ministero è, peraltro, abbondantemente “arrotondato per difetto”, come viene immediatamente in mente, ad esempio, pensando al deleterio impatto prognostico dell’obesità nei confronti di COVID-19 [7]. L’obesità, infatti, al pari del modello alimentare che la accompagna, gioca un ruolo importante nell’insorgenza e nella prognosi di diversi tumori e facilita la severità dell’osteoartrosi, ponendosi altresì come un determinante fondamentale anche per quanto attiene l’insorgenza e la prognosi di altre patologie. In accordo con ciò, una recente analisi di tipo Mendeliano ha dimostrato come, per ogni incremento di 1 unità di indice di massa corporea, si assista ad un parallelo incremento del rischio di morte per tutte le cause tanto nel paziente in sovrappeso (indice di massa corporea: 25.0-29.9 kg/m2; rischio di morte per tutte le cause: +5%, intervallo di confidenza al 95%: 1-8%), quanto in quello francamente obeso (indice di massa corporea: ≥30.0 kg/m2; rischio di morte per tutte le cause: +9%, intervallo di confidenza al 95%: 4-14%). L’analisi per cause

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