Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

65 DOCUMENTO SIPREC 2022 3. ASPETTI CLINICI 3.6 Obesità e Scompenso Cardiaco Carmine Morisco1, Speranza Rubattu2, Bruno Trimarco1 1 Department of Advanced Biomedical Sciences, University Federico II, Naples, Italy 2Department of Clinical and Molecular Medicine, School of Medicine and Psychology, Sapienza University of Rome, Rome, Italy and IRCCS Neuromed, Pozzilli, Isernia, Italy Scompenso cardiaco Lo scompenso cardiaco è una sindrome ad eziologia multipla, definita come l’incapacità del cuore a soddisfare le esigenze metaboliche dell’organismo, o come quella condizione in cui le esigenze metaboliche vengono garantite solo al costo di un aumento delle pressioni di riempimento delle camere cardiache. Lo scompenso cardiaco affligge l’1-2% della popolazione dei paesi Occidentali; in particolare, si stima che 5.8 milioni di americani e 15 milioni di europei ne siano affetti. Vengono interessati soprattutto, ma non solo, individui anziani; infatti, la sua prevalenza nella popolazione di età > 75 anni è maggiore dell’8%; inoltre, è caratterizzato da una prognosi infausta con alta morbilità, e con una mortalità a 5 anni maggiore del 40%. Ciò comporta elevati costi di gestione per i frequenti ricoveri ospedalieri, per le terapie farmacologiche, riabilitative ed interventistiche, rappresentando un onere gravoso per i servizi sanitari nazionali. E’ stato calcolato che negli Stati Uniti il costo annuo per la gestione dello scompenso cardiaco è passato da 24.3 miliardi di dollari nel 2003 a 39.2 miliardi nel 2010. Lo scompenso cardiaco è stato sempre considerato come una conseguenza della compromissione della funzione ventricolare sinistra. Nelle ultime decadi è stata meglio definita e caratterizzata una forma di scompenso, quella a frazione d’eiezione (FE) conservata (o preservata). Questa forma è caratterizzata da una FE del ventricolo sinistro normale, ma presenta alterazioni morfo/funzionali del cuore come la disfunzione diastolica, l’incremento dei volumi atriali, o l’ipertrofia ventricolare sinistra che sono responsabili della comparsa della sintomatologia. Pertanto, una delle classificazioni attualmente in uso categorizza lo scompenso cardiaco in scompenso a FE ridotta (FE < 40%), (HFrEF) a FE lievemente ridotta (HFmrEF) (FE compresa tra 40-50%), e a FE conservata (HFpEF) (FE > 50%). Nei paesi industrializzati lo scompenso cardiaco a FE conservata ha un’elevata prevalenza ed incidenza (1-14%) e, al pari delle forme di scompenso a FE ridotta, è caratterizzato da una elevata mortalità (20-29% ad 1 anno, 53-74% a 5 anni) [1]. E’ da sottolineare che i pazienti con scompenso cardiaco a FE conservata presentano una peggiore qualità di vita e una maggiore frequenza di re-ospedalizzazioni rispetto a quelli con FE ridotta. Questa è la conseguenza di una più elevata co-morbidità. L’obesità è una delle principali cause di scompenso cardiaco a FE conservata, cui contribuiscono anche l’ipertensione arteriosa ed il diabete mellito di tipo 2 che coesistono con l’obesità. Obesità e scompenso cardiaco L’associazione tra obesità e scompenso cardiaco è un fenomeno ben noto da tempo. Inoltre, entrambe le condizioni cliniche hanno subito un significativo incremento negli ultimi due decenni. Attualmente, oltre 2 miliardi di individui della popolazione mondiale possono essere inclusi in una delle due condizioni. In passato, numerosi studi avevano documentato una associazione tra obesità e riduzione della FE. La prima convincente dimostrazione dell’associazione tra obesità e scompenso cardiaco risale al 2002 quando Kenchaiah et al., analizzando la popolazione del Framingham Heart

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