Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

66 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA Study includente 5881 individui, hanno documentato, durante un follow-up medio di 14 anni, un aumentato rischio di scompenso cardiaco nei soggetti con elevato indice di massa corporea. In particolare, nei soggetti in sovrappeso il rischio di scompenso cardiaco è risultato del 14% nelle donne e dell’8.8% negli uomini, mentre nei pazienti obesi il rischio di scompenso cardiaco raggiunge il 13.9% nelle donne ed il 10.9% negli uomini. Ciò corrisponde ad un incremento del rischio pari al 5-7% per ogni kg/m2 di aumento dell’indice di massa corporea [2]. Inoltre, la durata dell’obesità costituisce un potente predittore di scompenso cardiaco. Infatti, la prevalenza di scompenso cardiaco in pazienti affetti da obesità da 20 e da 30 anni risulta essere pari al 70% e al 90%, rispettivamente [3]. Considerando che la prevalenza di obesità nella popolazione adulta a partire dal 1980 è triplicata sia negli Stati Uniti che in Europa, le proiezioni sull’incidenza di scompenso cardiaco associato all’obesità nel prossimo futuro sono allarmanti. Considerando sia l’incremento dell’incidenza dell’obesità nei prossimi anni che della durata della vita media, è previsto un incremento della prevalenza di scompenso cardiaco pari al 50% nella popolazione anziana nel 2035. E’ verosimile, tuttavia, che queste proiezioni sottostimino la reale incidenza di scompenso cardiaco nel prossimo futuro, dato che non prendono assolutamente in considerazione l’aumento dell’incidenza dell’obesità in età adolescenziale. Infatti, tra il 1980 ed il 2013 la prevalenza di obesità in età pediatrica ed adolescenziale è passata dal 16 al 23% nei paesi occidentali, e, cosa ancora più allarmante, dall’8% al 10% nei paesi in via di sviluppo [4]. A corroborare questa tendenza vi sono i risultati di una analisi del National Health and Nutrition Examination Surveys (NHANES) che documentano che negli Stati Uniti la percentuale di adolescenti (12-19 anni) con indice di massa corporeo normale è passata dal 70% al 65% dal 1999 al 2012 [5]. Un’ulteriore immagine dell’impatto che l’obesità ha sullo scompenso cardiaco in giovane età proviene dallo studio CHARM, in cui è stato rilevato che il 75% dei pazienti affetti da scompenso cardiaco di età < 40 anni era in sovrappeso o affetto da obesità; tra questi, ben il 23% presentava obesità di grado severo [6]. Numerosi studi di coorte hanno indagato le diverse implicazioni cliniche del rapporto tra obesità e scompenso cardiaco. Da questi studi è emerso che l’obesità aumenta significativamente il rischio di scompenso cardiaco a FE conservata, ma non di quello a FE ridotta [7]. Inoltre, è stato rilevato che il rischio di scompenso non è interamente mediato dalla co-morbilità associata all’obesità, ma anche da altri fattori, come la distribuzione corporea del grasso o i livelli di peptidi natriuretici. In particolare, l’obesità centrale, ovvero quella caratterizzata da una prevalente localizzazione del tessuto adiposo a livello addominale, si associa ad uno stato infiammatorio cronico e ad alterazioni di tipo metabolico che aumentano il rischio di scompenso cardiaco. In questo scenario, più che l’indice di massa corporea, altri parametri antropometrici, quali la circonferenza addominale o il rapporto vita/fianchi, definiscono meglio il rischio di scompenso cardiaco [8]. A differenza dell’obesità centrale, quella periferica, conosciuta anche come ginoide, caratterizzata dall’accumulo di tessuto adiposo nel distretto sottocutaneo, non costituisce un fattore di rischio per scompenso cardiaco. Effetto paradosso dell’obesità Se da un lato è stato dimostrato che l’obesità raddoppia il rischio di scompenso cardiaco, dall’altro è stata prospettata la possibilità che l’obesità sia in grado di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da scompenso cardiaco. Questo fenomeno è conosciuto come “effetto paradosso dell’obesità”, ed è stato descritto per la prima volta da Horwich et al. nel 2001 [9]. Questi autori hanno documentato in una coorte di 1203 pazienti affetti da scompenso cardiaco una migliore prognosi ed una ridotta mortalità in quelli con concomitante obesità. Negli anni successivi questo dato è stato confermato

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