Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

70 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA ridotta che per quello a funzione sistolica preservata, ma necessita di essere ancora validata. Al contrario, non esiste un valore ampiamente accettato di NT-proBNP per i pazienti obesi con scompenso cardiaco. Infine, per quanto riguarda il riconosciuto valore prognostico dei livelli di ANP e BNP nello scompenso cardiaco, non è stata osservata alcuna differenza nel soggetto obeso rispetto a quello non obeso, a parte gli stati piu’ avanzati di eccesso ponderale.A causa della rilevante limitazione nell’utilizzo dei peptidi natriuretici nel paziente obeso con scompenso cardiaco a scopo diagnostico, altri biomarcatori potrebbero essere affiancati a BNP e NT-proBNP, quali la galectina-3, il soppressore solubile della tumorigenicita’-2 (sST-2), il mid regional proANP (MR-proANP), le metalloproteinasi di matrice. Si rendono pertanto necessari studi atti a valutare il ruolo diagnostico della combinazione di questi ultimi biomarcatori con i peptidi natriuretici nella diagnosi di scompenso cardiaco nel paziente obeso. Prevenzione dello scompenso cardiaco associato all’obesità Se, da un lato, l’obesità costituisce uno dei principali determinanti dello scompenso cardiaco, allo stato attuale non esiste una specifica terapia farmacologica in grado di prevenirne la comparsa, o di migliorare la prognosi dello scompenso nel paziente obeso. Al contrario, partendo dal concetto che uno dei principali meccanismi patogenetici che condiziona il rischio di scompenso cardiaco nel paziente obeso è rappresentato dall’insulino-resistenza, è possibile, migliorando la sensibilità all’insulina, ridurre il rischio di scompenso cardiaco. L’attività sedentaria, la dieta ipercalorica, l’abuso di alcool, costituiscono i principali fattori responsabili dello sviluppo di insulino-resistenza. A tal proposito, è stata ampiamente documentata una correlazione tra attività fisica e/o introito calorico ed indice di massa corporea [22]. Pertanto la pratica di regolare attività fisica, l’assunzione di regimi dietetici ipocalorici, la moderazione dell’introito di alcool riducono il rischio cardiovascolare, incluso quello di scompenso cardiaco, migliorando la sensibilità all’insulina. Studi d’intervento e metaanalisi hanno dimostrato gli effetti favorevoli dell’attività fisica sulla riduzione del peso corporeo [23]. Tuttavia, va sottolineato che nei soggetti obesi l’effetto della sola attività fisica sulla riduzione del peso corporeo e della circonferenza addominale è modesto, aggirandosi intorno ai 5 kg e ai 3 cm, rispettivamente. Al contrario, l’attività fisica gioca un ruolo di primo piano nel conservare il peso corporeo successivo alla perdita di peso. A tal proposito, una meta-analisi che ha valutato ben 33 studi ha documentato l’importanza dell’attività fisica rispetto alla sola dieta ipocalorica nella riduzione e nel mantenimento del peso corporeo raggiunto. Infatti, la combinazione esercizio fisico + dieta ha determinato una riduzione del peso corporeo maggiore del 20% rispetto alla sola dieta, e questa riduzione si è mantenuta a distanza di 12 mesi [24]. Questi dati sono stati successivamente confermati dal National Weight Control Registry che ha esteso l’osservazione anche all’attività fisica del tempo libero [25] che comprende non solo l’attività sportiva ma anche passeggiata, giardinaggio, danza, ecc… . Queste evidenze sono state recepite dall’American College of Sports Medicine che raccomanda “…dopo la perdita di peso, di effettuare almeno 250 minuti di attività fisica/settimana al fine di mantenere il peso raggiunto” [26]. SINOSSI • L’obesità rappresenta un fattore di rischio per lo scompenso cardiaco, in particolare per le forme a frazione di eiezione conservata. • L’insulino-resistenza costituisce uno dei principali meccanismi patogenetici responsabili dello sviluppo di scompenso cardiaco nell’obesità

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