Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica

8 OBESITÀ: DA AMPLIFICATORE DI RISCHIO A MALATTIA CRONICA Nel complesso, il carico di malattia cardiovascolare associata all’obesità è quindi molto elevato e si esprime soprattutto in una più alta incidenza di eventi coronarici acuti (STEMI e NSTEMI) [7-10]. Una metanalisi di 21 studi condotta nel 2007 dal BMI – CHD Collaboration Investigators [11] in oltre 300.000 soggetti adulti con 18.000 eventi acuti coronarici ha dimostrato un’alta prevalenza di eventi soprattutto nei pazienti sovrappeso o obesi. Nonostante queste evidenze epidemiologiche e lo stretto “link” fisiopatologico tra il “fingerprinting” metabolico ed emodinamico dell’obesità e la patologia cardiovascolare, il ruolo dell’obesità come fattore di rischio cardiovascolare indipendente è stato spesso e a lungo derubricato a fattore di rischio “minore” o a mero “amplificatore” di rischio, anche per la difficoltà a documentare una relazione causa effetto tra riduzione di peso e riduzione degli eventi cardiovascolari in studi di intervento, ove è inevitabile il ruolo confondente dei numerosi fattori metabolici ed emodinamici che intervengono. Gli studi di intervento del passato basati sulla riduzione del peso non sono riusciti a dimostrare in modo coerente e convincente una riduzione delle manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica [12-14], anche se le modifiche dello stile di vita con una concomitante riduzione del peso corporeo comportano chiari benefici su sindrome metabolica, infiammazione sistemica e disfunzione endoteliale. Al contrario degli studi con i farmaci, alcuni studi condotti con la chirurgia bariatrica come lo Swedish Obesity Study [15] hanno dimostrato una riduzione degli eventi coronarici fatali e non fatali probabilmente perché venivano ottenute perdite di peso più significative e stabili a fronte di un ruolo meno pregnante di fattori confondenti. È per questo, che come affronteremo in maggiore dettaglio in altre parti di questo documento che si guarda con grande interesse alle nuove strategie terapeutiche farmacologiche (come ad esempio i GLP1RA) che possono assicurare riduzioni di peso più ampie e stabili e che hanno già fornito evidenze di risultati favorevoli con la riduzione di peso in soggetti con diabete di tipo 2 sia sugli eventi cardiovascolari maggiori che sulla mortalità cardiovascolare. La complessità sindromica dell’obesità, che oggi viene progressivamente portata in superficie da interventi farmacologici originariamente disegnati per fornire alternative di cura nel diabete di tipo 2, si adatta poco ad una mera visione riduttiva dell’obesità come “amplificatore” di rischio cardiovascolare e viceversa trova più logica collocazione in una definizione dell’obesità come uno stato di malattia cronica caratterizzata da una molteplicità di aspetti fisiopatologici con grande impatto clinico sull’equilibrio metabolico e in tutti gli stadi del “continuum cardiovascolare” (Figura 2). Figura 2. l ruolo dell’obesità nel continuum cardiovascolare REGRESSIONE INTERVENTO PREVENZIONE Obesità Ipertensione arteriosa Dislipidemia Diabete mellito Tabagismo Danno d’organo PROGRESSIONE Eventi CV

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